Mi giro, verso l’infinito serpentone di cemento
in faccia all’oceano, noi siamo un bel pezzo
di quella mattina, che non fa tornare
mai i conti. Ottanta che?
83, fino a 86.
Gli anni, si sommano per vederci insieme.
Come puoi
confondere i cuori?
Serve un piano
che venga deciso, ma da lontano. La moto è là
ti aspetto a cavallo
tra la curva e il bibitaro, dove le onde
superano scogli e persone, si depositano innocue sulla strada
dell’hotel Nazionale.
Temerai solo il miagolio, il miagolio
del mio gatto, lui fa la differenza
strappa di mano la forbice
la chiara dell’uovo smeriglio
per essere il solo e il meglio. Anche no
siamo divisi da un’onda e il suo scoglio.
Altri, avanzeranno nel buio
conquisteranno la tua prima ora di amore
grammi e grammi di stufato
mentre io
mi sarò allontanato
per sempre, come ogni vacanza
che si rispetti.
Mi hai trattato da ufficiale pagatore
un po’ mi piace
meridiano di qualche sole sperduto,
sarei ultimo a cui riferire gli inganni.
Ultimo ma no il solo, infatti
la mia via è un tratto dritto, mica come il muro sull’oceano
al cospetto della mia fronte.
Nulla puoi, nulla temi
vieni, più vicina che puoi, più di quanto voglia il mio gatto.
Più ancora che essere fucile di luce
sospesa nella mattina e l’orizzonte di queste nuvole.
Siamo la sete della mia ombra
siamo davanti, preciso al mezzo sogno, l’acqua sulle gomme
cerchiate di bianco.
Sono caduto invano, mi sono sollevato presto
agli interessi di quella luce
che dell’acqua conserva gli arrivi.
Il tacco batte nella notte, hai messo su
trucco sugli occhi per essere letto disfatto.
Ricordati, al miele, devi aggiungere nulla
tu non sei il mio miele, lui è l’intero!
Lo sai.
Lo sappiamo, sì
proprio come un ghiacciolo
che puoi masticare, succhiare per il caldo
ma inevitabilmente
scivola volentieri nelle tue mutande
la mia mano sarà affittata alle sorprese, arriva dritta
dritta sul tuo tepore, quel te
che non mi è mai bastato.
Ora sei il punto che sposta gli scongiuri, le mie certezze
quelle che rimangono
di queste notturne risate, davanti alle sorsate di birra.
Sei la mia infradito
sorella che mangia al mio fianco
la gioia di esserti vicino
vicino a che? Ora
serve il punto esatto che ti conduce al divino, sono l’ancora
di un bicchiere di vino, la soglia che ho superato
il gelato che hai mangiato
sulle strade di Miami Beach, sono le gioie
che sembrano poco
ma stanno tutte la sul fiore tra la 23^ e un incrocio di aria.
Sei la vergine
regalata al vicino, la porta chiusa
aperta all’improvviso.
Sei la faccia tosta che fa vero il mio viso.
Ha ha ha
che saresti stata, con in mano, il mio baccano!
Ad averlo, un’ora nella testa
volevi il giorno spremuto, volevi
saturarti di sangue, invece
ti affidi a qualche meridiano. Quale meridiano
quale rotta ti porterà a destinazione?
Povera te, sei peggio dei miracoli che fabbrica Luna
i miracoli, mica si abbandonano, si dipingono sugli scogli
freschi di onde, in nessun caso, in nessuna occasione
te li devi dimenticare. Il miracolo è la tua verginità
approssimativa, la verginità infinita, eccessiva ma vera
sola, come me a fiutare l’universo.
Benché fermo
è lo stato puro della velocità, è dentro te
l’unico mio universo. Adesso
diventa magnetica pure tu e asso piglia tutto.