Il giorno si appiccicava
ai muri asciutti
del sole di Ponza.
Rimaneva vistosa
l’impronta del tuo sguardo
quando m’inonda
la tua partenza.
I miei Agosti, sai bene
sono privi di saturazione
sanano ferite millenarie.
Temevo la tua reazione
al mio nulla. Parcheggio
al solito, davanti casa mia
la tua finestra è illuminata
pure io. Temevo i giochi
sotto il castello di carta
distraggono
aggiungono
al mio piacere, le gioie che
solo i bambini conoscono.
Avrei piacere accarezzarti la gola
tirarmela dentro il mio petto
rubarne le vibrazioni
che emana al solo sguardo.
Scenderai dal treno
occuperemo la tua strada, depositerò
sulla sedia rossa
trascrizioni decise e precise.
Temerò essere salito
al tuo piano, privo di mazzi di rose.
Mi conforta aver deciso
prolungare quella forma di litigio
che tu chiami baratro.
Temerò, temerò gli inevitabili
tempi lunghi, salterò di gioia
per le mie fortune.
Temerò me stesso
ancor più di te.