L’aria puzzava di Mango, ogni porta faceva credere ad un senso diverso, la finestra lasciava entrare aria filtrata, di tutta una pace, ne avremmo fatto una ragione. Le ore, a contarle ci metti una vita se poi apri i gomiti, altre si toccano da qualche parte i rispettivi dispetti. C’eri anche tu, quella sera eri la nostra tempesta migliore, uccidevi quello che sarebbe diventata una piacevole serata. Un altro bicchiere, un’ennesima sedia priva di cuscino il locale, da Gustavo pareva una chiesa, dentro un alito gigante, avevi un chiaro senso di puttana io ci stavo così male, che tremolavo per il bene. Avevo ricevuto il mio caffè, me lo ricordo quando Claudio chiuse il giro sugli arrosti, era di un presto indecifrabile, i bicchieri erano allineati giusto per un boato, un vuoto esagerato. Credevamo di avere una pancia da grattare, credevamo di avere un tempo finito male, dovevo essere perentorio. Saremmo potuti diventare la fucina, del principio illuminato, di qual cosa di eterno, di qualcosa mai nato. Giusto un prototipo del mio mestiere, l'annusatore di qualche bordello. Ora invece la foschia ci abbaglia per averci vicini, ma nessuno si sbaglia a contarci le dita. E' quello il momento di essere saturo. Saturo, è il battito in appoggio, ma è tardi, continuamente troppo tardi tra di noi, un altro film, un ennesimo spettacolo della Savana, vista impero. Io ci spero, essere fuori, sulla vista delle terre. Noi siamo troppo bestie, e le bestie si cibano reciprocamente. In nessun caso tengono al mondo, anche se ci costa tanta fatica. Ma, ne varrà la pena? Le frottole si confondono a seguire i buoi io, per non sbagliare mi porto Titto e il Pallocco, loro si che capiscono al volo, il minimo movimento, gli occhi che ridono per gli incontri loro si che abbattono muri e infilano tempeste dei mari e dentro le feste.